GIOVEDi SANTO - Ultima Cena e Sepolcri

La funzione dell'Ultima Cena, che si svolge la sera del Giovedì Santo nella chiesa Madre, evoca con originalità il racconto evangelico, soprattutto quando il sacerdote distribuisce i pani, lava in segno di umiltà i piedi agli "apostoli" che, per l’occasione, sono veramente rappresentati da dodici pescatori, confratelli della congregazione dei marinai, intitolata alla Beata Vergine del Rosario.
Una volta la loro identificazione nel ruolo era più convincente, essendo prescelti in base a criteri di rassomiglianza fisica e psicologica con le immagini dei discepoli del Nazareno, per come tramandata dall’iconografia tradizionale.
Nella stessa serata, a tarda ora, i devoti visitano i Sepolcri che nelle chiese vengono allestiti davanti agli altari con fiori, nastri colorati, recipienti, colmi di steli di cereali, che precedentemente le donne hanno fatto germinare nel buio, in rustici cassettoni. In questa circostanza un’atmosfera di silenzio e di preghiera regna nelle chiese.
Fino alla prima metà del '900 era di prammatica, secondo un costume di derivazione ispano-napoletana, che i ceti aristocratici ed altoborghesi indossassero eleganti abiti neri da cerimonia. Le dame, in particolare, vengono ricordate dal popolino per le ricche vesti di seta nera che, per il movimento del corpo, producevano, durante il rito ed il trasferimento da una chiesa all’altra, un caratteristico rumore (u strusciu).
A mezzanotte di Sabato, quando le campane annunzieranno la Resurrezione, giovani contadini porteranno i piatti benedetti nei campi per renderli feraci. Il rituale dei Sepolcri è un eloquente segno di sincretismo pagano-cristiano, che rappresenta la temporanea sospensione del ciclo vegetale e del tempo profano in coincidenza con la passione e la morte di Gesù e fino alla sua resurrezione.
Anche nei culti precristiani dell'area mediterranea le divinità morivano e rinascevano, coinvolgendo nelle alterne vicende del bene e del male il mondo vegetale. Questi miti pagani, che la cultura contadina ha ricevuto in eredità da generazione in generazione, rivivono nelle sacre tradizioni della Pasqua, nella quale la figura di Cristo presenta analogie con le preesistenti deità agricole.
Per esemplificare, al suo calvario e alla sua morte corrispondono la sofferenza e la morte della natura, alla sua resurrezione la fertilità e il tripudio della natura stessa. Al Cristo trionfante, simbolicamente, le classi subalterne, da secoli oppresse dalla miseria e dai soprusi, affidano il proprio riscatto o quanto meno l'esigenza di un'esistenza protetta che, senza l'aiuto divino, è esposta a rischi di un avvenire tetro e senza speranza.

- Testo a cura di Vincenzo Segreti, tratto dal libro "Settimana Santa ad Amantea".
- Foto tratta dal libro"Settimana Santa ad Amantea" di Vincenzo Segreti.